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Serial killers

#21 L'utente è offline   Qwerty 

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Inviato il 19 novembre 2013 - 14:42

figata la storia di beane :asd: si sa dove sia la famosa grotta? se esiste ancora
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#22 L'utente è offline   Khouba 

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Inviato il 19 novembre 2013 - 19:30

Certo che esiste, un tizio ci ha anche vissuto fino all'83.

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"A volte la mia vita somiglia al numero pericoloso di un equilibrista: quello che provo è l'opposto di quello che vorrei fare. Reazioni impulsive portano a decisioni sbagliate. Sono un passo avanti rispetto al mio cervello.
Quando rivedo la mia giornata mi rendo conto che passo gran parte del tempo a sistemare il danno del giorno prima.
In questa vita non ho futuro, solo confusione mentale, e rimorso. …
Ogni giorno è come una nuova bara: la apri e guardi cosa c'è dentro, poi stabilisci se si tratta di un dono, o di una bara."


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#LE6END

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#23 L'utente è offline   IAmTheGamer 

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Inviato il 19 novembre 2013 - 22:13

Senza Dubbio per me questo è quello che mi appassiona di piu'...
http://it.wikipedia....r_dello_Zodiaco
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#24 L'utente è offline   Khouba 

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Inviato il 20 novembre 2013 - 23:23

Pensavate di cavarvela senza la mia storia di oggi? E invece no. :asd:
Oggi è la volta di Albert Fish, il Vampiro di Brooklyn, uno dei peggiori di sempre.

Quote

Albert Fish è da tempo nella classifica dei 20 serial killer più famosi ed efferati. Un sadomasochista con gravissimi problemi mentali, Albert Fish è conosciuto oggi come il Vampiro di Brooklyn. Che cosa faceva? Torturava e mangiava i bambini. Della sua vita si conosce davvero poco. Tutto quello che è a nostra disposizione è tratto dalle dichiarazioni che egli ha lasciato al Dottor Frederic Wertham dopo il proprio arresto. Albert Hamilton Fish nasce il 19 maggio 1870 a Washington D.C. La sua è una famiglia disagiata, si salva solamente il padre, Randall Fish, un Capitano dell'esercito. Purtroppo il 15 ottobre 1875 Randall Fish muore e il piccolo Albert viene sistemato in un orfanotrofio.

Non è per niente bella la vita nell'orfanotrofio di St. John. È questo un centro religioso, dove i bambini vengono puniti con frustate e varie punizioni corporali. Albert Fish vi rimane per ben nove anni e, quando ne esce, è un individuo fortemente provato, che comincia ad essere ossessionato dal peccato e dall'espiazione tramite il dolore.

Uscito dall'orfanotrofio l'uomo si mantiene con piccoli lavoretti, fino a quando scopre di essere un bravo decoratore di interni. In questo periodo, appena 26enne, conosce una ragazza di 19 anni e la sposa. Avranno ben sei figli, verso i quali Albert sarà sempre amorevole e protettivo come tutti i genitori normali.

Qualcosa però non va come dovrebbe andare. La moglie di Fish lo abbandona: ha conosciuto un giovane studente universitario e ha deciso di scappare con lui. Si porta via anche i mobili, lasciando al marito solamente un materasso per dormire.

Abbandonato a se stesso, Fish comincia a compiere piccoli crimini come il compilare e spedire delle lettere oscene. Viene arrestato più volte. Finisce in manicomio. Secondo alcuni avrebbe cominciato a uccidere proprio in questo periodo, nel 1910. Vittima un uomo adulto.

Nel 1925, raggiunti i 55 anni, Fish comincia il suo cammino verso la follia più pura. Diventa estremamente masochista (si infila aghi nello scroto, incendia pezzi di cotone e se li infila nell'ano, si fa frustare e sculacciare a sangue dai propri figli ecc. ecc.) e si dedica alla coprofagia. Comincia anche ad avere allucinazioni a sfondo mistico.

Angeli e Santi compaiono davanti agli occhi di Fish, Cristo in persona lo incita a purificare i peccati del mondo tramite la punizione fisica e il sacrificio umano. L'uomo comincia anche a crearsi mentalmente un'idea malata della Bibbia, fino a convincersi che in essa compaiano citazioni del tipo: "Felice è colui che rapisce i bambini e spacca loro le teste con delle pietre."

Alla fine è Dio stesso a comparirgli in sogno e a ordinargli di torturare e castrare tutti i bambini che può.

Prima di cominciare la storia di Albert Fish serial killer, è interessante notare come la follia e i problemi mentali siano stati quasi una costante nella famiglia Fish. Lo zio paterno di Albert soffriva di una psicosi caratterizzata da allucinazioni di carattere religioso. Morì in ospedale, così come uno dei suoi tanti fratelli. Un' altra zia paterna venne rinchiusa in manicomio e schedata come "totalmente matta". Il fratello più grande di Fish era affetto da alcolismo cronico, mentre quello minore era frenastenico e morì di idrocefalo. Una sua sorella venne internata in ospedale psichiatrico per una "non ben definita malattia mentale" e sua madre soffriva periodicamente di allucinazioni visive e uditive.

Edward Budd è un 18enne intraprendente, forte e ansioso di lavorare. Eddie vive però in una famiglia molto povera: madre, padre e cinque figli, intrappolati in una lurida baracca di periferia. Desideroso di poter evadere dalla terribile situazione in cui vive, il 25 maggio 1928 Eddie fa pubblicare un annuncio sull'edizione domenicale del New York World : "Giovane 18enne, cerca lavoro nel paese. Edward Budd, 406 West 15th Street."

È un annuncio scarno, privo di effetto e difficilmente richiamerà l'attenzione di qualcuno, eppure il lunedì seguente, 28 maggio 1928, Delia, la madre di Edward Budd, apre la porta ad un anziano visitatore. L'uomo si presenta come Frank Howard, un coltivatore di Farmingdale, nel Long Island. E' venuto per fare un colloquio di lavoro ad Edward.

Mentre i due aspettano l'arrivo di Edward Budd, Delia ha l'opportunità di studiare l'uomo che si è presentato alla sua porta. La sua faccia dà un' idea di gentilezza, i capelli sono ordinati e grigi, così come i grandi baffi. Sembra proprio l'uomo ideale al quale affidare i propri figli.

Frank Howard nel frattempo le racconta la propria vita: è stato decoratore di interni per molti anni e, arrivato alla pensione, si è comprato una fattoria. Ha sei figli, tutti cresciuti da lui, poiché la moglie lo ha abbandonato 10 anni prima.

La fattoria procede a meraviglia, grazie all'aiuto dei suoi figli, di cinque braccianti e di un cuoco svedese. Purtroppo un paio dei braccianti sono ormai anziani e Frank ha bisogno di rincalzi. Per questo, dopo aver letto l'annuncio di Edward, si è presentato a casa Budd.

Proprio in quel momento entrano in casa Eddie e un suo amico, Willie. Frank Howard rivolge qualche domanda ai due, misura la loro forza e alla fine propone a entrambi 15$ a settimana. E' una paga grandiosa e i due giovani accettano senza pensarci sopra due volte.

Il 3 giugno 1928, alle 11 di mattina, Frank Howard si ripresenta a casa Budd, per prendere con sé i due nuovi operai. Ha portato in regalo fragole e una forma di formaggio cremoso appena fatto, così Delia per ricambiare il favore propone al gentile ospite di fermarsi a pranzo con loro.

Mentre Frank Howard e il padre di Edward parlano amichevolmente a tavola, si apre una porta e compare davanti ai loro occhi una bella bambina di 10 anni che canticchia una canzone infantile. Si chiama Gracie, ha i capelli e gli occhi castani molto scuri, contrapposti ad una pelle chiara e a delle labbra rosa pallido.

Frank Howard è colpito da questa bambina e non lo nasconde affatto. Le fa molti complimenti e le regala qualche soldo per comprare dolciumi, quindi la invita con lui alla festa di compleanno della sua nipotina. Delia Budd è abbastanza perplessa, ma l'anziano e gentile ospite riesce comunque a convincerla: la festa si tiene in un appartamento della 137esima strada, e l'uomo promette che Gracie sarà di nuovo a casa per le 21.

Da brava madre Delia aiuta Gracie a indossare il cappotto buono, la accompagna alla porta e la segue con lo sguardo mentre si allontana lungo la strada con il gentile Frank Howard. Non li vedrà mai più.

Quella sarà una notte insonne per la famiglia Budd: nessuna notizia di Howard, nessun segno della piccola Gracie. La mattina seguente Edward viene mandato alla stazione di polizia per denunciare la scomparsa.

Non ci mette molto la polizia ad accertare che tutto ciò che aveva raccontato l'uomo era falso: non esiste nessun appartamento, non esiste nessuna fattoria, non esiste nessun Frank Howard.

Il 7 giugno vengono diffusi in tutta New York ben 1000 volantini con la foto di Gracie e una descrizione sommaria dell'uomo che l'ha portata via.

Più di 20 detective vengono assegnati al caso, ma nessuna segnalazione utile arriva tra le loro mani, solo una serie infinita di falsi allarmi.

Gli unici indizi sono la grafia dell'uomo, indice di una istruzione abbastanza elevata, e l'indirizzo del negozio in cui è stato comprato il formaggio, un baracchino ad East Harlem.

La polizia di New York ricorda inoltre un caso simile, risalente a un anno prima.

È l'11 febbraio 1927, un bambino di quattro anni, Billy Gaffney, e un suo amico di tre anni, stanno giocando nel cortile davanti casa. Li controlla attentamente un ragazzino di dodici anni, ma è presto costretto ad assentarsi, richiamato dal pianto di sua sorella neonata.

Al suo ritorno il ragazzo non trova più i due bambini, perciò corre ad avvertire il padre di quello più piccolo.

Dopo una disperata ricerca, il bambino viene ritrovato sul tetto, ma non c'è traccia di Billy Gaffney.

"Dove si trova Billy Gaffney? "

"Lo ha preso l'uomo nero"

Ovviamente la dichiarazione del piccolo di tre anni viene ignorata, e gli investigatori cominciano a cercare Billy in lungo e in largo per i quartieri limitrofi. Viene dragato un fiumiciattolo e delle squadre di ricerca perquisiscono alcuni cantieri edili. Billy non si trova in nessuno di questi posti, perciò finalmente qualcuno si decide a chiedere la descrizione dell' "uomo nero".

Il piccolo testimone parla di un vecchio molto snello, con capelli e baffi grigi. La polizia ne prende atto, ma non pensa proprio a connettere questa descrizione a un avvenimento accaduto qualche anno prima.

È una mattina del 1924, di Luglio per la precisione. Francis McDonnell, otto anni, sta giocando sul portico di fronte a casa, vicino ai boschi di Charlton, a Staten Island. La madre gli è seduta vicino, allatta una neonata, quando nota un vecchio vagabondo, sporco e malridotto, che passeggia gesticolando e borbottando con se stesso.

Quel pomeriggio lo stesso uomo avvicina Francis mentre gioca a palla con quattro amici e lo porta via.

Nessuno nota la scomparsa del bambino fino a sera, quando Francis non si presenta a cena.

Suo padre, un poliziotto, organizza immediatamente una ricerca nei boschi limitrofi e in poche ore il ragazzino viene ritrovato.

Francis è sdraiato sotto dei rami, con i vestiti strappati, strangolato con le proprie bretelle e preso a bastonate. L'aggressione è stata talmente violenta che le autorità escludono sia stato il vecchio vagabondo avvistato da più persone. Forse il vecchio aveva un complice.

Nonostante gli sforzi massicci della polizia e della comunità, nessuno riesce a rintracciare questo misterioso "uomo grigio".

Rifacciamo un salto avanti nel tempo, è il novembre del 1934, il caso Budd è ancora aperto, ma nessuno si aspetta che venga mai risolto. Non la pensa così William F. King, l'unico investigatore a cui il caso è ancora assegnato. Il 2 novembre 1934, il detective prova una mossa estrema e fa pubblicare a un amico giornalista, Walter Winchell, un articoletto che recita: "Il mistero del rapimento di Gracie Budd, otto anni, risalente a sei anni fa, sta per essere risolto dagli investigatori."

Passano solo dieci giorni e Delia Budd riceve una lettera inquietante. Per sua fortuna, essendo analfabeta, la donna non riuscirà mai a leggere tale lettera. La legge invece Edward Budd, che corre immediatamente alla polizia.

La lettera recita così:

"Cara signora Budd,

Nel 1894 un mio amico navigò come marinaio sullo Streamer Tacoma, del Capt. John Davis. Navigarono da San Francisco a Hong Kong. All'arrivo il mio amico scese con altri due e andarono ad ubriacarsi. Al loro ritorno la barca era partita.

Era un periodo di carestia per la Cina. Qualsiasi tipo di carne costava da 1 a 3 dollari per libbra. La sofferenza era così grande che i più poveri misero in vendita i propri figli sotto i dodici anni per non morire di fame. I ragazzi di quattordici anni non erano per niente al sicuro da soli in mezzo alla strada.

Avrebbe potuto andare in un qualsiasi negozio e richiedere una fetta di carne. Le avrebbero mostrato il corpo di un ragazzo o una ragazza nudi e le avrebbero chiesto quale parte volesse. La parte posteriore dei ragazzi, che è la parte più dolce del corpo, veniva venduta a caro prezzo come le costolette.

John, avendo passato tanto tempo da quelle parti, ha imparato ad apprezzare la carne umana. Tornato a New York rapì due ragazzini di 7 e 11 anni, li spogliò e li chiuse in un armadio. Durante il giorno li torturava e li sculacciava a lungo in modo da renderne la carne più tenera.

Per primo uccise il ragazzo di 11 anni perché aveva il sedere più grasso e carnoso. Tutto di lui fu cucinato e mangiato, eccetto testa ossa e intestini. Il ragazzo più piccolo ha fatto una fine molto simile.

In quel periodo io ero un vicino di John. Mi parlò così spesso di come fosse buona la carne umana che decisi che dovevo assolutamente assaggiarla.

Domenica 3 giugno 1928, ero a pranzo da Lei. Gracie sedette nel mio grembo e mi schioccò un bacio. In quel momento capii che dovevo assolutamente mangiarla.

Utilizzai la scusa di doverla portare a una festa e Lei acconsentì. Invece io l'ho portata in una casa vuota a Westchester, scelta in precedenza.

La lasciai a raccogliere fiori ed entrai a strapparmi via tutti i vestiti. Non avevo nessuna intenzione di macchiarli con il sangue della bambina.

Quando tutto era pronto, andai alla finestra e la chiamai. Poi mi nascosi in un armadio. Quando lei mi vide del tutto nudo cominciò a piangere e provò a scappare di corsa sulle scale. Io l'afferrai e lei mi minacciò che avrebbe detto tutto alla sua mamma.

Per prima cosa l'ho denudata, mentre lei mi calciava, mi mordeva e mi graffiava. L'ho strangolata a morte e l'ho tagliata a piccoli pezzi in modo da portarla comodamente a casa mia. L'ho cucinata e mangiata. Come era dolce e morbido il suo sederino che ho arrostito al forno!! Mi ci sono voluti nove giorni per mangiarla interamente. Non si preoccupi, non l'ho violentata. È morta vergine come volevo che avvenisse."

Nessuno ci vuole credere, quella lettera è troppo folle, troppo spaventosa…eppure, purtroppo, le indicazioni fornite sono abbastanza complete e inoltre la scrittura è la stessa che compare sulle lettere che Frank Howard aveva mandato famiglia Budd sei anni prima.

Per fortuna il folle omicida ha compiuto un grave errore: la busta porta con sé un importante indizio, un piccolo emblema esagonale, con le lettere N.Y.P.C.B.A. Esse stanno per "New York Private Chauffeur's Benevolent Association". Gli investigatori decidono così di sottoporre tutti i membri di questa associazione a una prova della scrittura, ma nessuno pare essere il colpevole.

Quando le indagini stanno nuovamente per cadere nel vuoto, un giovane custode confessa di aver rubato di nascosto un paio di fogli e buste e di averli dimenticati in una vecchia casa, al 200 East della 52nd Street.

La padrona dell'edificio viene prontamente interrogata e non ha dubbi a riconoscere nella descrizione di Frank Howard un anziano signore che ha soggiornato lì negli ultimi due mesi. Si faceva chiamare Albert H. Fish ed ha lasciato l'appartamento da appena due giorni. L'uomo attendeva una lettera ma si era dovuto allontanare all'improvviso, quasi come spaventato da qualcosa. Ancora una volta il serial killer è sfuggito alla giustizia, ma è questione di tempo ormai, la cattura è davvero vicina.

Il 13 dicembre 1934 la donna chiama il Detective King perché ci sono novità importanti: Albert Fish è tornato nell'appartamento alla ricerca della famosa lettera che aspettava.

Quando la polizia fa irruzione nella casa trova Fish comodamente seduto a bere una tazza di tè. All'improvviso l'uomo estrae una lama di rasoio dalla propria tasca, sperando di domare con essa le forze dell'ordine. King, infuriato, lo afferra saldamente, gli torce la mano ed esclama trionfante: "Finalmente ti ho preso!"

EPILOGO
La confessione di Albert Fish, arrivata pochi giorni dopo, è un'odissea di perversione e depravazione indicibili. È incredibile che un anziano apparentemente debole e indifeso, sia stato capace di compiere simili oscenità.

Fish confessa che nell'estate del 1928 era stato assalito da una forte sete di sangue. Le sue intenzioni iniziali erano di adescare solo il giovane Edward, portarlo il un luogo segreto, tagliargli il pene e farlo morire dissanguato.

Aveva anche comprato una mannaia per l'occasione.

Dopo la prima visita in casa Budd, Fish aveva però capito che non c'erano speranze di sopraffare il forte Edward, tanto meno l'amico Willie, perciò aveva ripiegato sulla piccola Gracie, sin dal primo momento che l'aveva vista.

Tutto il resto corrisponde alla lettera che Fish aveva mandato a Delia. Per fortuna l'uomo aveva omesso di aver decapitato la ragazzina con un seghetto, di aver raccolto il suo sangue in un secchio e di aver buttato gli "scarti" al di là di un recinto.

Il giorno successivo la polizia e Fish si sono recati a recuperare i resti della povera Gracie, l'anziano non ha tradito nessuna emozione, così come non ha fatto una piega nel faccia a faccia con i genitori di Gracie, che ovviamente non hanno lesinato sugli insulti.

Nei giorni successivi sono proseguiti invece gli interrogatori, ma nessuna domanda è mai stata fatta a proposito del cannibalismo al quale si accennava nella lettera. Troppo folle per essere vero... e soprattutto una cosa del genere avrebbe facilitato fin troppo la difesa nel sostenere l'infermità mentale.

Mentre Albert Fish rimane in galera con l'accusa di rapimento e omicidio, un conducente di carretti si presenta alla stazione di Brooklyn e riconosce sia le foto dell'anziano omicida che le foto del piccolo Billy Gaffney, aggiungendo di averli visti insieme. Fish è così costretto a confessare anche questo omicidio. Dopo aver legato, imbavagliato e denudato il bambino lo ha lasciato in una discarica fino alle due del mattino. Nel frattempo si è recato a casa per prendere il suo amato gatto a nove code. Si tratta di un frustino artigianale, fatto da Fish stesso, molto pesante, dal manico corto, praticamente è composto solo da diverse strisce di cinture, tagliate e legate insieme.

Con questo oggetto Albert Fish ha sferzato il bambino sulle gambe fino a farlo sanguinare, quindi lo ha ucciso tagliandogli la faccia da orecchio a orecchio, passando il pugnale tra la bocca e il naso. Infine, non contento, gli ha infilato il coltello nell'addome, provocando una ferita profonda e bevendo il sangue che ne sgorgava fuori.

Naso, orecchie, addome e fondoschiena verranno mangiati Fish, stufati con cipolle e carote. Testa, braccia e gambe vengono invece messi in sacchi di patate, insieme a pesanti sassi, e buttati in un fiumiciattolo. Il pene a quanto pare è stato vomitato perché indigeribile.

Qualche giorno dopo questa confessione, una ragazza riconosce in Albert Fish l'uomo grigio che aveva avvicinato Francis MacDowell (del quale Fish ha mangiato le orecchie condite con bacon) e, grazie alla testimonianza di un altro uomo, il folle omicida viene allacciato anche alla scomparsa di una 15enne, Mary O'Connor, avvenuta nel 1932 a Far Rockway. Il corpo della ragazzina viene trovato poco lontano da una delle ultime case in cui Fish aveva lavorato come decoratore.

Con tutte queste accuse a suo carico, Albert Fish ha veramente poche possibilità di cavarsela e di scampare alla pena di morte: la sua unica via di scampo si chiama infermità mentale.

Viene così esaminato dal Dott. Fredric Wertham. Dal loro colloquio emerge una personalità psicopatica e paranoica, con una sessualità molto malata e tendenze sado-masochistiche. L'uomo è inoltre influenzato profondamente dalla religione e ossessionato dalla punizione fisica.

Con una freddezza unica Fish racconta allo psichiatra la propria vita, i propri omicidi, il proprio sado-masochismo. L'assassino racconta di aver ucciso almeno 100 bambini e di averne molestati almeno 400, preferiva gli afro-americani perché la loro scomparsa attirava meno l'attenzione dell'opinione pubblica e della polizia. Aggiunge anche di aver vissuto in 23 stati diversi e di aver ucciso o mutilato un bambino in ogni quartiere in cui ha abitato.

In un suo trattato sulle menti criminali, il Dottor Werthman scriverà che Fish raccontava le proprie azioni con la stessa freddezza e tranquillità che una massaia utilizzerebbe parlando di cucina. Solo gli occhi luccicanti e trepidanti tradivano la sua eccitazione.

Quando Fish comincia a parlare del suo sado-masochismo, e sopratutto della sua mania di conficcare ai bambini e a se stesso dei lunghi aghi nella zona pelvica e nello scroto, i dottori che lo stanno studiando cominciano a titubare che egli dica il vero. Una radiografia della zona pelvica dell'assassino li smentirà: ben 29 aghi compariranno in essa.

Werthman non è l'unico a dichiarare Fish malato di mente e alienato. Ciò nonostante nel 1935 comincia il processo a carico dell'assassino e si ha sin da subito l'impressione che Fish verrà condannato.

Il processo diventa ben presto una girandola di testimonianze e interrogatori. L'avvocato difensore cerca in tutti i modi di dimostrare che il suo cliente è malato di mente e per questo va rinchiuso in un manicomio, l'avvocato dell'accusa si arrampica sugli specchi in ogni modo per dimostrare che Fish è solamente un pervertito sessuale e un assassino, sano di mente e cosciente della differenza tra giusto e sbagliato. In sede di processo basta infatti dimostrare questa ultima cosa per dichiarare l'imputato capace di intendere e volere.

Fish assiste in maniera distaccata e fredda al proprio processo e alle deposizioni più o meno scioccanti. Apre bocca una sola volta, per chiedere al proprio avvocato di salvarlo, poiché "Dio ha ancora tanto lavoro per me".

Il verdetto arriva dopo solo 10 giorni di dibattito: Albert Hamilton Fish è ritenuto colpevole di 15 omicidi e sospettato di altri 100, perciò è condannato alla sedia elettrica.

Il giorno dopo i giornali scriveranno che Fish alla lettura della sentenza si è alzato in piedi, con gli occhi umidi e ha ringraziato il giudice.

Il 16 gennaio 1936 Albert Fish è stato giustiziato sulla sedia elettrica. Ha aiutato gli inservienti a legargli le fibbie intorno alle braccia e ha ammesso commosso che la scossa elettrica era l'unico piacere sado-maso che mancasse al suo "repertorio". Ci sono volute due scosse per ucciderlo: al primo tentativo, l'intero impianto è stato mandato in corto circuito dai 29 aghi metallici piantati nel pube dell'uomo.

"Ciò che io faccio è giusto, altrimenti Dio avrebbe mandato un angelo a fermare la mia mano, come fece a suo tempo con il profeta Abramo." (Albert Hamilton Fish)

"A volte la mia vita somiglia al numero pericoloso di un equilibrista: quello che provo è l'opposto di quello che vorrei fare. Reazioni impulsive portano a decisioni sbagliate. Sono un passo avanti rispetto al mio cervello.
Quando rivedo la mia giornata mi rendo conto che passo gran parte del tempo a sistemare il danno del giorno prima.
In questa vita non ho futuro, solo confusione mentale, e rimorso. …
Ogni giorno è come una nuova bara: la apri e guardi cosa c'è dentro, poi stabilisci se si tratta di un dono, o di una bara."


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#25 L'utente è offline   Qwerty 

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Inviato il 20 novembre 2013 - 23:51

secondo me non vedeva l'ora di sedersi sulla sedia elettrica AHAUAHAUAH
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#26 L'utente è offline   Sanchez 

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Inviato il 02 dicembre 2013 - 13:28

UP. moar plz

GIF's series master
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Ally of Doom

Firmiamo la petizione per riavere CaSaRo su GTAO
#iostoconimarò
L'unico buono e degno di esistere, è il vino
E gli angeli di guerra, pugnale in mezzo ai denti, in uno contro venti si battono cosi.
scemo e più scemo girano a braccetto.
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#27 L'utente è offline   Khouba 

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Inviato il 02 dicembre 2013 - 19:42

Visualizza MessaggiSanchez, il 02 dicembre 2013 - 13:28 ha detto:

UP. moar plz

As you wish:

Karl Denke, nacque il 12 agosto del 1870, a Oberkunzendorf, a pochi chilometri da Ziebice (Polonia).
In quel periodo di grande carestia che colpiva tutta la regione della Slesia, la famiglia di Karl viveva agiatamente, a differenza dei corregionali che tiravano avanti con il minimo indispensabile.
Suo padre era proprietario di una locanda, mentre i due fratelli maggiori avevano del terreno su cui allevavano bestiame, perciò il denaro ai Denke non mancava.
I fratelli di Karl avevano abbandonato anzitempo la scuola per dedicarsi completamente alla piccola azienda di famiglia che gestivano insieme.
Quando Karl iniziò ad andare a scuola, si capì subito che anche lui era destinato ad un veloce abbandono, sopratutto a causa del suo carattere e delle sue difficoltà comunicative. Taciturno e scontroso, spesso si esprimeva solamente a gesti.
Il maestro lo riteneva un idiota senza speranze e per questo lo puniva frequentemente, anche senza validi motivi. Spesso lo allontanava dall'aula per i suoi continui disturbi durante le ore di lezione, in una nota sul registro scrisse: "Il ragazzo è molto cocciuto e non da lodare".
Alla fine, a soli 12 anni, il proprio brutto carattere costrinse Karl ad abbandonare gli studi.

Il padre riuscì in qualche modo a trovargli un lavoro come apprendista presso un giardiniere.
Il datore di lavoro era abbastanza soddisfatto della buona volontà del ragazzo, perciò lo tenne con lui fino all'età di venticinque anni.
Ma in quel periodo, Karl accusò un duro colpo perdendo il padre che tanto gli era stato vicino, per cui la sua protezione venne a mancare malinconicamente.
Dopo quell'avvenimento, i fratelli rilevarono la locanda, continuando così la tradizione di famiglia, mentre nei pensieri del giovane Denke c'era ben altro. Rifiutò di dividere il lavoro con i fratelli, perciò i tre si accordarono in questo modo: loro avrebbero tenuto il terreno e l'osteria mentre Karl avrebbe avuto quanto gli spettava in denaro.
Con quei soldi, Karl si spostò a Munsterberg (oggi Ziebice) ed acquistò una casa a due piani che trasformò in una pensione. L'idea ebbe un discreto successo e gli affari andarono bene inizialmente, ma l'inflazione lo costrinse a vendere la proprietà, tenendosi per sé una stanza al pianterreno più la stalla dietro l'abitazione.
Col passare degli anni, la reputazione di Denke in quel paese di ottomila abitanti crebbe a vista d'occhio. Faceva numerose offerte alla chiesa del posto, durante alcuni funerali si rendeva disponibile nell'aiutare a trasportare la bara sulle spalle e soprattutto dava vitto e alloggio a mendicanti, vagabondi e bisognosi. Per tutti questi gesti umanitari la gente incominciò a chiamarlo Papà Denke.
In realtà Denke era una specie di Dott. Jekill e Mister Hyde e gli abitanti di Munsterberg dovevano ancora conoscere l'altra faccia della sua personalità.

Una sera del 1909, una mendicante di nome Emma Sander di venticinque anni, bussò alla porta di Karl per chiedere un pezzo di pane. Lui la fece entrare ed accomodare su una sedia, poi prese un'ascia e le sferrò un colpo staccandole di netto la testa. In seguito la sezionò in diverse parti e mise i pezzi di carne dentro un grande pentolone con dell'acqua per cucinarli. Il macabro pasto fu servito agli ospiti di Denke, che partecipò al banchetto senza farsi tanti problemi.
Tutti quelli che elemosinavano rivolgendosi a Karl venivano sì ristorati, ma con la carne di altri vagabondi passati prima. Molti di essi finivano per essere a loro volta squartati e tagliati a pezzettini, pronti per essere consumati dai successivi sventurati.
Denke continuava a far sparire vagabondi e mendicanti che sostavano nella sua casa dell'orrore.
Vista la richiesta che c'era in città di carne di maiale, venduta ad un prezzo sempre più elevato, un rivenditore del mercato chiese a Denke se poteva procurargliene a basso costo. Il finto filantropo assicurò il rivenditore che non c'era nessun problema e che poteva procurargliene in grande quantità, poiché suo fratello era un allevatore di bestiame e stava proprio andando a trovarlo per rifornirsi di quella carne pregiata.
Senza perdere tempo, Karl massacrò e fece a pezzi sei mendicanti che erano passati da lui, ne separò le carni, mise le ossa in un contenitore per sgrassarle e ricavarne del sapone, mentre conciò la pelle fino ad ottenerne delle cinghie. Tutta questa roba veniva venduta al mercato del paese, a costi che chiunque si poteva permettere.
Nessuno si accorse mai che dietro quella figura così buona e generosa si nascondeva in realtà un cannibale feroce e senza rimorsi.

Nella casa degli orrori continuavano ad entrare molte persone di cui si persero poi le tracce, mentre i contenitori della cucina erano sempre pieni di carne umana pronta ad essere venduta e mangiata.
Karl poteva disporre di tutta la carne che voleva a costo zero. Solitamente, nel cuore della notte, usciva con dei grossi pacchi contenenti grandi quantità di ossa e andava a gettarli nella boscaglia lì vicino, mentre i secchi pieni di sangue finivano per essere vuotati nel cortile di casa.
Ogni tanto qualche vicino di casa si lamentò di un odore sgradevole provenire dall'appartamento di Denke, ma queste segnalazioni non furono subito prese in considerazione dalla polizia, perché secondo loro l'attività di Karl ed il materiale che usava potevano emettere quel tipo di esalazioni, per cui non verificarono nulla.
Nel frattempo circolarono altre strane voci sul conto di Denke. Alcuni parenti delle vittime fecero denuncia di scomparsa, riferendo che l'ultima volta che avevano avuto notizie dai loro cari, questi erano alloggiati nell'abitazione di Denke. Ma anche queste denunce vennero riposte tutte nell'archivio, perché le forze dell'ordine decisero di non dare peso alle denunce per scomparsa di alcuni vagabondi senza casa e senza meta.
Così, protetto dalla sua nomea di cittadino modello e di filantropo, Karl continuò la sua carneficina, fino a quando, la domenica del 21 Dicembre del 1924, un vagabondo di nome Vincenz Olivier, andò a trovarlo per farsi dare qualcosa da mangiare.
Appena entrato in cucina, il vagabondo fu colpito alla testa da un piccone, ma solo di striscio. A quel punto, Denke gli saltò addosso per ucciderlo, ma le grida d'aiuto del giovane fecero intervenire uno degli inquilini, un certo Gabriel, che si precipitò nell'appartamento di Karl e vi trovò il mendicante che barcollava nel corridoio con la testa sanguinante.
Prima di perdere i sensi, con un filo di voce, Vincenz riuscì a dirgli che era stato proprio Papà Denke ad aggredirlo.

Portato immediatamente da un medico, lo sventurato riprese conoscenza e confermò quanto aveva detto al suo soccorritore. Inizialmente, gli inquirenti non diedero credito a quella storia, anche perché il presunto colpevole era conosciuto come persona stimata ed onesta da tutto il paese.
Ma il referto del medico non lasciava dubbi, Olivier era stato colpito con un'arma contundente.
A questo punto la polizia non aveva scelta, doveva andare a casa di Karl per avere delle delucidazioni in merito.
Alla vista delle forze dell'ordine, Denke non fece trapelare la minima emozione. Disse che aveva colpito l'uomo perché lo aveva colto mentre tentava di rubare dalla dispensa della sua cucina.
Nonostante la sua versione dei fatti, il locandiere fu portato ugualmente al comando per un interrogatorio, dove, dopo qualche ora, confessò quanto successo e aggiunse che negli ultimi anni aveva mangiato solo carne umana. Non fornì ulteriori dettagli, ma quanto detto a lasciare esterrefatti i poliziotti, che mai si sarebbero aspettati un affermazione così orrenda.
In attesa del processo, il cannibale fu rinchiuso in una cella d'isolamento, ma vera la sorpresa doveva ancora arrivare.
Alle 11,30 del giorno dopo, il sergente Palke andò nella cella di Denke per ascoltare altri particolari sulla vicenda, ma quando aprì la porta rimase pietrificato: il cannibale si era impiccato con un grande fazzoletto.

Il 24 dicembre dello stesso anno, la polizia ottenne un mandato di perquisizione per cercare ulteriori prove a carico del suicida.
Quando entrarono nella casa di Denke, rimasero agghiacciati davanti a quello "spettacolo": pezzi di carne furono trovati dentro ad un mastello di legno, immersi in una soluzione salina, si trattava di parti di torace, addome, dorsi e glutei; in tre grandi pentole, fu rinvenuta della carne ricoperta di cute cotta in una crema che sembrò essere salsa di panna; in un tegame c'era ancora una porzione del pasto consumato qualche giorno prima da Denke, mentre in un altro contenitore, immersi in una sostanza gelatinosa, c'erano numerosi pezzi di cute umana e parti di aorta. Sul tavolo della stanza di Karl, una scodella era piena di grasso di color ambra, mentre in due scatole di metallo con la scritta sale e pepe c'erano i denti delle vittime. Tre paia di bretelle fatte di pelle umana erano appese sul muro, lacci da scarpa sempre di pelle umana dentro un cassetto.
Molti vestiti intrisi di sangue sparsi sul letto, numerosi documenti personali appartenenti alle vittime furono rinvenuti in un cassetto, oltre che un registro contabile con le iniziali dei nomi, il peso di ciascuno e la data della morte.
Nella stalla dietro casa, c'erano dei pezzi di carne e una botte piena di ossa. Nel bosco vicino, scoprirono delle colonne vertebrali e scheletri sparsi ovunque. Infine vennero sequestrate tre asce, una sega grande, un piccone e tre coltelli da macellaio.
C'è da credere che davanti ad uno scenario così sconvolgente gli investigatori ne rimasero visibilmente impressionati, lasciando nella loro mente un ricordo indelebile.
Mettendo insieme le ossa e i recipienti di grasso, fu calcolato che le vittime dovevano essere circa quaranta.
Una donna che conobbe Denke raccontò alla polizia quanto segue: "Non mi sono mai osata entrare in casa sua. Quell'uomo mi incuteva timore, aveva uno sguardo malefico, percepivo l'orrore che era in lui, nonostante gli altri ne parlassero bene".
Per quella piccola cittadina fu un duro e inaspettato colpo, uno shock incredibile, una ferita difficile da rimarginare: il loro benefattore, che tanto avevano apprezzato ed amato, era in realtà un orco che mangiava le persone.
Il giorno dopo, il giornale locale riempì le pagine scrivendo certi particolari di quella terribile vicenda soprannominando Karl Denke come il "Cannibale della Slesia."
Gli investigatori avrebbero voluto sapere molto di più su questa terribile storia, ma l'imprevisto suicidio di Denke fece finire nella tomba anche i suoi segreti.

Messaggio modificato da Khouba il 02 dicembre 2013 - 19:44

"A volte la mia vita somiglia al numero pericoloso di un equilibrista: quello che provo è l'opposto di quello che vorrei fare. Reazioni impulsive portano a decisioni sbagliate. Sono un passo avanti rispetto al mio cervello.
Quando rivedo la mia giornata mi rendo conto che passo gran parte del tempo a sistemare il danno del giorno prima.
In questa vita non ho futuro, solo confusione mentale, e rimorso. …
Ogni giorno è come una nuova bara: la apri e guardi cosa c'è dentro, poi stabilisci se si tratta di un dono, o di una bara."


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#28 L'utente è offline   Mad 

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Inviato il 02 dicembre 2013 - 23:48

Parecchio tempo fa, ero abbastanza assillato con i serial killer e le loro storie di vita. Oltre a tutti quelli citati nel thread, ne mancano ancora molti altri altrettanto feroci e perversi. Uno che mi ha impressionato particolarmente, conosciuto da poco, è stato Richard Kuklinski, ecco un documentario in Italiano che lo descrive in maniera perfetta:


Il documentario è diviso in varie parti.
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#29 L'utente è offline   Khouba 

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Inviato il 04 dicembre 2013 - 20:09

Kuklinski è un idolo.

Quote

Richard Leonard Kuklinski (Jersey City, 11 aprile 1935 – Trenton, 5 marzo 2006) è stato un criminale statunitense.

È stato uno dei più feroci killer statunitensi di tutti i tempi. Molto spesso al servizio della mafia italo-americana si contraddistingueva per i suoi metodi brutali e sadici nell'uccidere e torturare le sue vittime. Il soprannome che gli venne dato dai media fu "l'uomo di ghiaccio" perché il primo cadavere a lui ricondotto era stato tenuto congelato per due anni in un frigorifero. Nella sua carriera ha collezionato tra almeno 33 e 250 omicidi; la media della polizia è di 40-100+.

Infanzia


Secondo figlio di quattro fratelli, nacque nella periferia di Jersey City da Stanley Kuklinski e Anna McNally, dai quali subì continue umiliazioni e percosse nel corso della sua infanzia (spesso dichiarò di aver pensato molte volte di aver voluto uccidere il padre soprattutto dopo averlo visto uccidere suo fratello più grande). Il padre di origine polacca e la madre di origine Irlandese contribuirono alla crescita della rabbia interiore di Kuklinski che iniziò con l'uccidere animali randagi e proseguì col suo primo omicidio: Charley Lane. Era un ragazzo della zona dove abitava Kuklinski, che insieme alla sua banda continuava a maltrattare Richard il quale un giorno lo uccise a colpi di bastone e si liberò del cadavere occultandolo fuori città. Col passare degli anni Kuklinski fu a capo di una banda che si specializzò nelle irruzioni di supermercati, furti con scasso e saccheggi di alcolici.

Gli inizi

La vera svolta nella vita di Kuklinski fu la conoscenza di un mafioso italo-americano al servizio della famiglia De Cavalcante, Carmine Genovese. Iniziò a collaborare con lui nei continui omicidi che accadevano in quegli anni per mano della mafia. Il suo nome ben presto circolò in tutte le famiglie mafiose che chiedevano sempre più frequentemente i suoi servizi e richiedevano a volte piccoli spostamenti (New York), o grandi viaggi che nel corso degli anni lo portarono in tutti gli Stati Uniti d'America, Brasile, Zurigo (anche per affari personali).

I metodi

Le modalità di esecuzione di alcuni omicidi del killer vanno oltre ogni immaginazione. Kuklinski, in particolare, andava fiero per un metodo che gli consentiva di sbarazzarsi dei corpi: amava, dopo aver stordito o ferito gravemente la sua vittima, portarla in una grotta e, dopo averla legata, lasciare in registrazione una telecamera fissa sul corpo. Una volta finito andava via per tornare il giorno dopo e vedere come i topi di campagna avessero mangiato il malcapitato senza averne lasciato traccia; il filmato poi veniva fatto vedere al mandante dell'omicidio che aveva espresso specifica richiesta che la vittima soffrisse. Richard Kuklinski era abile nell'usare qualsiasi tipo di arma: pistole, fucili, bombe a mano, mitragliette, mazze e spaccamandibole; prediligeva il coltello perché era un oggetto che lui stesso definiva "intimo", ma nel corso degli anni si specializzò sempre di più nell'ottenere una miscela di cianuro con il cui effluvio, ad una certa distanza, garantiva la morte in meno di 5 secondi senza che l'autopsia rilevasse una dose tale da supporre un omicidio, lasciando adito di pensare ad un arresto cardiaco. La spaventosa lista delle vittime di Kuklinski contempla anche uccisioni con balestre, per asfissia (sacchetti di plastica), con pugni e calci; il killer, di frequente, scaraventava le sue vittime da edifici, o le annegava. Dichiarò di avere ucciso 13 persone dopo avere letteralmente distrutto loro la spina dorsale con un cacciavite, paralizzandole. All'occorrenza, faceva a pezzi i cadaveri per occultarli meglio, oppure sigillandoli in fusti di olio. Richard Kuklinski era un uomo alto quasi 2 metri che pesava 135 chili, ma ciò non gli impediva di muoversi rapidamente per raggiungere una vittima o non dare nell'occhio durante i pedinamenti (dichiarò che la parte che gli piaceva di più era lo "studio della preda"). Tuttavia, nonostante i metodi strazianti che usava nell'uccidere, Kuklinski aveva un codice morale che non infranse mai nel corso degli anni: non uccideva bambini e donne e qualora lo volesse, infliggeva strazianti morti anche se non richieste a chi aveva fatto del male a queste persone.

La famiglia

Richard Kuklinski ebbe tre figli da Barbara Pedrici, una ragazza italo-americana di 21 anni; i loro nomi sono Merrick, Chris e Dwayne. Con i tre ebbe un rapporto amorevole, soprattutto con la figlia Merrick che era malata. Barbara dichiarò: "Avevo sposato due Richard, quello buono e quello cattivo". Il carattere di Kuklinski era noto in famiglia. Alternava, infatti, momenti di rabbia incontrollabile che arrivavano alla violenza fisica soprattutto nei confronti della moglie, a momenti di affettuosità durante i quali manifestava un'estrema dolcezza e simpatia. Barbara Pedrici non seppe mai delle attività del marito fino al suo arresto, complice la paura delle reazioni violente che avrebbe potuto avere.

Richard era, inoltre, dipendente dal gioco d'azzardo: sperperò un capitale inestimabile che aveva accumulato con la sua attività criminale.

L'attività che portò a Kuklinski molto profitto fu la pornografia. Nonostante non avesse perversioni sessuali, riusciva a piratare e rivendere cassette pornografiche complice un lavoro che aveva trovato; questo business lo portò a girare molti stati dell'America, in particolare la California.

L'arresto

Richard Kuklinski venne arrestato dalla polizia di New York, con l'aiuto di un infiltrato, nei pressi della sua abitazione il 17 dicembre 1987: da anni le forze dell'ordine cercavano di accumulare prove per incastrarlo. Venne condannato a 6 ergastoli e non alla pena di morte, nonostante le vittime collezionate furono circa 200, a causa della totale mancanza di testimoni oculari agli omicidi. Fu rinchiuso all'interno della prigione del New Jersey nella quale si trovava anche il fratello, accusato, pochi anni prima, di aver violentato e ucciso una ragazzina di 12 anni. Kuklinski si rifiutò sempre di vederlo poiché, all'interno del suo personale codice morale, la violenza sui minori costituiva un reato inaccettabile.

Dopo l'arresto

Richard Kuklinski prese parte agli omicidi più importanti dell'ambiente mafioso italo-americano, tra cui quello di "Big" Paul Castellano e Carmine Galante. Durante la detenzione, Richard Kuklinski venne convinto a rilasciare interviste, partecipò a documentari e accettò di stendere insieme ad all'autore Philip Carlo la sua biografia: The Ice Man: Confessions of Mafia Contract Killer, dove confessò tutti gli innumerevoli delitti. L'America fu sconvolta da queste rivelazioni rilasciate alla HBO e le interviste ottennero un successo di ascolti altissimo in tutto il paese.

Nel settembre 2010, al Toronto International Film Festival è stato annunciato un film basato sulla vita di Kuklinski, tratto dal libro di Carlo, prodotto dalla Natural Selection di Matty Beckerman. David McKenna è stato incaricato della sceneggiatura, con Mickey Rourke nei panni di Kuklinski e coproduttore del film.

"A volte la mia vita somiglia al numero pericoloso di un equilibrista: quello che provo è l'opposto di quello che vorrei fare. Reazioni impulsive portano a decisioni sbagliate. Sono un passo avanti rispetto al mio cervello.
Quando rivedo la mia giornata mi rendo conto che passo gran parte del tempo a sistemare il danno del giorno prima.
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Inviato il 14 marzo 2015 - 15:17

Up megagalattico:
Carl Panzram - Il Predatore del fiume Hudson

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La famiglia Panzram emigrò dalla Prussia (regione storica della Germania settentrionale) al Minnesota in cerca di fortuna. Qui, nonostante le difficoltà economiche, i Panzram ebbero sette figli, una femmina e sei maschi, tra cui Carl, che nacque il 28 giugno del 1891.
A fatica i Panzram riuscirono ad acquistare un piccolo podere, dove poterono dedicarsi alla coltivazione della terra, tranne Carl, che aveva invece la propensione per il furto. Per punirlo delle sue malefatte, i suoi fratelli spesso lo picchiavano e lo chiudevano a chiave nella sua stanza senza dargli nemmeno da mangiare.
Il capofamiglia spendeva quasi tutto il denaro in alcool e prostitute, finché un giorno non fece più ritorno a casa sparendo nel nulla. Ciò fece precipitare la situazione, costringendo la famiglia a vendere il terreno.
I continui furti del piccolo Carl lo portarono al suo primo arresto all'età di soli undici anni; in riformatorio la rabbia e la frustrazione del ragazzo si trasformarono in violenza nei confronti degli altri giovani detenuti, tanto e vero che fu messo in isolamento.
Dopo tre anni fu rilasciato e la madre Lizze, sperando che quel ragazzo fosse almeno in parte cambiato, iscrisse Carl nella scuola di Warren. Il rapporto con l'insegnante fu però burrascoso, soprattutto perché questa lo malmenò diverse volte davanti ai compagni di classe, così alla fine Carl decise di lasciare il Minnesota e la famiglia senza una destinazione precisa.
A quindici anni si ritrovò a vagare nel Montana, tra vagabondi, ladri, prostitute e truffatori di ogni genere. L'elemosina diventò l'unico modo per sopravvivere.
Una sera venne raggirato da quattro uomini che, con la promessa di dargli dei vestiti nuovi, lo portarono in un luogo isolato e lo violentarono tutta la notte.
Per tre anni Panzram visse tra furti e violenze, fino quando si arruolò nell'esercito, dove però la sua indole non cambiò: dopo circa un anno venne sorpreso mentre stava rubando dei soldi nell'ufficio del Comandante, perciò venne condannato e rinchiuso nel carcere militare di New York, dove diede alle fiamme l'officina del penitenziario.
Il periodo di detenzione finirà solo nel 1912, rimettendo in libertà un uomo rabbioso, che sfogherà tutta la sua collera sulle sue future vittime.
Carl si stabilì per un po' di tempo nella città di New Haven, nel Connecticut. Lì, una notte, penetrò in una villa dove poté rubare molti oggetti di valore. Con il ricavato, si comprò uno yacht: la barca fu registrata con il nome di John O'Leary.
Navigando con la sua imbarcazione, Carl attirò diversi marinai con la scusa che era in cerca d'aiutanti per i suoi commerci e con la promessa di lauti guadagni. Una volta saliti a bordo, li faceva ubriacare, poi li torturava e li violentava, infine ne sezionava i corpi e li gettava in mare.
Il suo perverso piacere durò poco, perché un uragano distrusse il suo natante.
Nel 1921, Panzram si fece assumere come operaio da una compagnia petrolifera che operava in Africa.
Sbarcato nella città di Luanda, conobbe una sera un ragazzo di undici anni, a cui offrì dei soldi in cambio di compagnia. Quando i due si appartarono, il giovane si rifiutò di acconsentire alle richieste di spogliarsi, perciò Carl, furibondo, lo violentò e, con forza inaudita, gli fracassò la testa contro una roccia. Tempo dopo Panzram dirà a proposito: "Il suo cervello fuoriusciva dalle orecchie, ed io me ne stavo lì a guardare compiaciuto".
Naturalmente non tornò più sul posto di lavoro, ma si spostò invece in un villaggio di pescatori dove, spacciandosi per un cacciatore di coccodrilli, trovò degli indigeni che si offrirono di aiutarlo in cambio di una bella percentuale sui profitti ottenuti.
Portò con se sei uomini, tra cui due ragazzi, che, durante la battuta di caccia, uccise tutti a sangue freddo con dei colpi di pistola. Fatti a pezzi i corpi con un machete, mise i resti a bordo di una canoa e li diede in pasto ai coccodrilli, gustandosi tutta quell'orribile scena.
Alcune volte si recava in piccoli villaggi, alla ricerca di ragazze minorenni. Pagava la loro compagnia per una giornata e poi si divertiva sodomizzarle e umiliarle in tutti i modi, prima di riportarle terrorizzate a casa dai genitori, con i quali, approfittando dell'ignoranza di quelle genti, si lamentava che le ragazze non avevano fatto bene la propria parte.
Dopo circa un anno, Panzram fece ritorno negli Stati Uniti, precisamente a Salem, nel Massachusetts, la città delle streghe.
Lì, nell'estate del 1922, incontrò un ragazzo di undici anni di nome Henry McMahon: lo fermò mentre stava rientrando a casa e gli diede dei soldi in cambio di un lavoretto. Lo fece quindi salire nella sua automobile e con questa si diressero verso un luogo isolato, dove Carl violentò ripetutamente il ragazzino. In seguito, lo uccise sbattendogli la testa contro un muro, gli aprì la bocca e ci infilò della carta. Il corpo fu ritrovato dopo tre giorni dalla polizia, in stato di decomposizione.
Dalle indagini risultò che un uomo era stato visto in compagnia del ragazzo nel pomeriggio della scomparsa, ma i testimoni diedero una descrizione insufficiente e la polizia non riuscì ad andare avanti con il caso.
Nel giugno del 1923, Panzram si trova nuovamente nel Connecticut per cercare una barca da prendere in "prestito". Una volta trovata, navigò sul fiume Hudson per poi attraccare a Kingston, dove passò una serata in un locale della città offrendo da bere, fino a quando conobbe finalmente un potenziale compratore interessato alla "sua" imbarcazione. Una volta a bordo, gli sparò alla testa, uccidendolo. Quindi, con un ascia, tagliò a pezzi il cadavere e li gettò nel fiume.
La polizia mise in allarme tutte le città che si affacciavano sul fiume, avvisando i cittadini che in circolazione c'era un Killer spietato, definito come "Il Predatore del fiume Hudson".
Il 9 agosto del 1923, a New Haven, un ragazzo di quattordici anni di nome Alexander Luztock stava chiedendo l'elemosina, quando gli si avvicinò l'assassino che gli diede qualche centesimo; dalla tasca uscì però anche un lungo coltello, con il quale Carl obbligò il ragazzo a seguirlo. Lo portò in una zona deserta, dove lo violentò e lo torturò con il coltello, infliggendogli delle ferite profonde, e dove lo uccise, strangolandolo con una cinghia. Due giorni dopo, un passante trovò dietro ad un cespuglio il corpo del ragazzo, dilaniato dagli animali.
La notte del 26 agosto 1923, il Killer s'introdusse in un magazzino sorvegliato da un guardiano, si nascose dietro ad una colonna con in mano un'ascia con l'intento di decapitarlo. Il vigilante sentì però dei rumori e cominciò ad avvicinarsi piano piano verso la loro fonte, fino a quando la lama di un'ascia gli passò davanti al viso, ferendolo di striscio. Sopravissuto e pronto di riflessi, il vigilante ingaggiò una violenta colluttazione, al termine della quale Carl fu immobilizzato ed arrestato.
In carcere, Panzram confessò ventuno omicidi e decine di violenze ai danni di ragazzini, aggiungendo con disprezzo che non c'era nessun movente: l'aveva fatto solamente perché la cosa gli piaceva.
Durante la detenzione, tentò la fuga, ma mentre stava scavalcando un muro cadde e si ruppe entrambe le caviglie, così fu rinchiuso in isolamento.
Fu poi ricoverato nell'ospedale psichiatrico, dove fu messo sotto stretta sorveglianza. Tutte le misure cautelari nei suoi confronti non gli impedirono di consumare un altro delitto: la vittima fu un infermiere, preso alla sprovvista e massacrato con molteplici coltellate al torace.
Ritenuto un pazzo sadico, l'assassino fu rinchiuso nella prigione di massima sicurezza a Washington. Rimasto rinchiuso per cinque anni in attesa della sentenza definitiva, sembrò essersi placato, tanto che gli fu assegnato un lavoro nella lavanderia del penitenziario.
Il 20 giugno del 1929, il responsabile della lavanderia Robert Warnke gli assegnò un compito da svolgere, ma Panzram, senza dire nulla, afferrò invece una sbarra di ferro e lo colpì alla testa ripetutamente, tanto da renderlo irriconoscibile e imbrattando tutta la stanza di sangue.
Dopo questo episodio, il processo fu anticipato e, appena il giudice ebbe emesso la sentenza che lo condannava a morte, Panzram si alzò e disse: "Signor giudice vorrei ringraziarla per questa condanna, ma vorrei avere anche un minuto di libertà, per mettere le mie mani intorno al vostro collo in modo che non possiate più sedere in nessuna aula per giudicare il prossimo". Poi aggiunse: "Non credo nell'uomo, in Dio e nel Diavolo, odio la razza umana e maledico tutti. Ho ucciso i deboli, gli innocenti, questa vita l'ho imparata dagli altri. Non ho nessun desiderio di cambiare, l'unico mio desiderio e di cambiare le persone e per cambiarle bisogna ucciderle. Il mio motto è: rubare, stuprare e uccidere. Ho sodomizzato spesso gli uomini, non perché ero un omosessuale, ma perché volevo dominarli, umiliarli e torturarli".
Ci fu comunque qualcuno che si oppose alla pena capitale, ma Carl con astio disse loro queste testuali parole: "Vorrei che voi tutti aveste un solo collo e che io vi avessi sopra le mani".
Il 5 settembre del 1930, con aria sprezzante e senza un minimo di rimorso e paura, mentre il boia gli stava infilando il cappio al collo, Panzram pronunciò queste parole: "Sbrigati bifolco, riuscirei a impiccare una dozzina di persone mentre te ne stai a perdere tempo".
Panzram si può considerare a tutti gli effetti un soggetto che fin dall'infanzia ha avuto nel sangue un odio sconsiderato verso il prossimo, un disprezzo che va aldilà di ogni razionale ragione, un uomo che fino all'ultimo respiro lasciò tutti sconcertati.

Fonte: OcchiRossi.it
"A volte la mia vita somiglia al numero pericoloso di un equilibrista: quello che provo è l'opposto di quello che vorrei fare. Reazioni impulsive portano a decisioni sbagliate. Sono un passo avanti rispetto al mio cervello.
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#31 L'utente è offline   Qwerty 

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Inviato il 16 marzo 2015 - 15:11

giuro che l'ultima frase di panzram mi ha ucciso
un grandissimo figlio di p*****a, ma quella frase mi ha fatto ridere
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#32 L'utente è offline   Gino Frozen 

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Inviato il 16 marzo 2015 - 21:20

questo topic non l'avevo mai visto,dopo me lo leggo visto che l'argomento mi appassiona molto

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#33 L'utente è offline   Khouba 

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Inviato il 16 marzo 2015 - 23:00

Marc Dutroux, il Mostro di Marcinelle

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Dutroux, conosciuto anche come il mostro di Marcinelle, aveva organizzato una vera banda di criminali pedofili che si occupava di procurarsi delle ragazzine e di usarle per produrre videocassette pornografiche.
Questa banda poteva contare su coperture potenti e nascondigli ben ideati. A Marchan Au Pont c'è una casa dove Dutroux stava costruendo tre celle sotterranee collegate fra loro tramite un tunnel.
Marc Dutroux, quaranta anni, nel 1985 rapisce e violenta cinque minorenni e una donna di cinquanta anni, condannato nel 1989 a undici anni di carcere ma, dopo averne scontati solo due, nel '91 è già libero per buona condotta.
L' uomo è proprietario di sei case e di diversi automezzi, tra cui quel furgone bianco usato per rapire Laetitia, alcune betoniere e pale meccaniche, ma risulta disoccupato da molti anni. Nel giardino di una delle sua abitazioni c'è un intero parco di macchine rubate.
Il 13 Agosto 1996, Dutroux, sua moglie e un complice, Michel Lelievre, 25 anni, vengono arrestati. Dopo due giorni, Marc rivela al Procuratore del Re dove è nascosta Laetitia. Con lei è prigioniera anche Sabine, dodici anni, scomparsa il 9 maggio mentre si recava a scuola e rimasta con Dutroux per 79 giorni.
La confessione del pedofilo si allarga ad altri macabri episodi. È lui stesso a indicare un altro nascondiglio, quello dove sono seppelliti i corpi mutilati di Julie e Melissa. Si tratta del giardino di casa sua, sotto tre metri di terra.
Accanto a loro giace il cadavere di Bernard Weinstein, 44 anni, complice di Dutroux e autore con Lelievre dei rapimenti.
In un' altra casa di proprietà di Dutroux, dove abitava il complice Lelievre, sono state sequestrate 600 videocassette pornografiche, che hanno come vittime delle minorenni e come carnefici Dutroux stesso, la moglie e altre persone non ancora identificate. Le cassette con Julie e Melissa non sono state ancora trovate. Un agente immobiliare di 55 anni, Nihoul, si occupava della distribuzione di questo materiale, oltre ad abusare lui stesso delle bambine.

MELISSA E JULIE
Il pomeriggio del 14 giugno 1995, a Gràce-Hollogne (Liegi), Melissa Russo, una bambina di otto anni, sta giocando a casa sua con la sua amichetta coetanea, Julie Lejeune.
Chiede alla mamma, Carine, il permesso per andare al cavalcavia sull'autostrada vicino la loro abitazione, a salutare le auto che rispondono con il clacson. Carine glielo concede, anche perché già altre volte Melissa, insieme al fratello Gregorie, era stata lì. Non c'è pericolo a patto che rincasino entro una mezz'ora. Per Julie, invece, è la prima volta.
Le due bambine escono, passano dalla stradina che da casa, lungo un campo di grano, in pochi minuti porta al cavalcavia, vi giungono e, senza lasciare nessuna traccia, scompaiono. Tutte le indagini svolte per più di un anno non hanno portato ad alcun esito.
Per conoscere la verità bisognerà aspettare che altre due ragazzine, dopo Julie e Melissa, scompaiano.
L' ultima, Laetitia, 14 anni, sparisce il 9 agosto, mentre sta tornando a casa dopo essere stata alla piscina comunale. Quel giorno un ragazzo aveva notato, proprio davanti alla piscina, un furgoncino bianco sospetto di cui poi sarà in grado di ricordare la targa. Il veicolo risulta di proprietà di Marc Dutroux, un uomo di quaranta anni già noto alla polizia sin dall' 85 per aver rapito e violentato cinque minorenni e una donna di cinquanta anni.
Il 13 agosto 1996 la polizia belga, dopo alcuni accertamenti, decide di intervenire ed arrestare Dutroux, sua moglie Michelle e un loro complice, Michel Lelievre. Dopo due giorni Dutroux confessa al procuratore del Re dov'è nascosta Laetitia.
Mentre si riaccendono le speranze di ritrovare vive Melissa e Julie, Dutroux rende noto alla polizia un altro nascondiglio, a Sars-La Brussiere, località a trenta minuti da Marcinelle.
Nel giardino della sua casa, sotto tre metri di terra, ci sono i corpi mutilati di Julie e Melissa, chiusi dentro un sacco di plastica nero. Accanto a loro giace il cadavere di Bernard Weinstein, complice di Dutroux, da lui stesso sepolto vivo a dicembre perché minacciava di denunciare il loro losco traffico.
Bernard Weinstein, come Dutroux ha dichiarato al procuratore del Re, aveva l' incarico, insieme a Lelievre, di procurargli una ragazzina in cambio di 50.000 franchi. Ma, anziché rapirne una, Weinstein e il suo complice gli avevano portato a casa, a Marcinelle, due bambine: proprio Julie e Melissa. In un primo momento le bambine vengono nascoste al primo piano, in attesa che Weinstein finisca di costruire una cella giù in cantina.
Il 6 dicembre 1995, Dutroux finisce in carcere per un regolamento di conti in seguito a dei furti. Dutroux afferma di aver consegnato, allora, la somma di 50.000 franchi a Lelievre per portare da mangiare alle bambine durante la sua detenzione. Uscito di prigione Dutroux scopre che Julie e Melissa sono in fin di vita, a digiuno da molte settimane, perché Lelievre non ha assolto al suo incarico. Dopo qualche giorno le bambine muoiono e Dutroux le sotterra in giardino, eliminando anche Weinstein, divenuto un complice scomodo.
Le bambine erano rimaste segregate nella cantina per nove mesi, subendo maltrattamenti e abusi, utilizzate per girare video sadici, dove le vittime reali sono proprio loro.
Ai funerali di Julie e Melissa partecipa commossa e indignata gran parte della comunità belga. Da quel giorno si è costituito un movimento di solidarietà intorno ai genitori di tutte le vittime della banda di Dutroux, culminato con la manifestazione "bianca" che si è svolta a Bruxelles il 20 ottobre 1996.

LAETITIA
Laetitia, 14 anni, è scomparsa il 9 agosto a Marcinelle mentre tornava dalla piscina comunale a casa.
La ragazza viene tenuta prigioniera da Dutroux fino al 15 agosto 1996, in una cella sotterranea, confinante con la cantina di casa sua, insieme a Sabine, 12 anni, rapita invece il 9 maggio 1996 mentre rincasava da scuola.
Alle ragazzine Dutroux ordina di stare sempre in silenzio, perché non devono farsi sentire dai suoi amici, molto più cattivi di lui che, se le avessero scoperte, avrebbero fatto loro del male. Per questa ragione Laetitia e Sabine, terrorizzate , rimangono zitte anche quando gli investigatori fanno irruzione nell'abitazione e non chiedono aiuto, sebbene sentano dei rumori accanto alla loro cella.
Davanti alla televisione belga, che ha ripreso e diffuso in tutto il mondo il ritorno a casa delle due ragazzine, la madre di Laetitia e sua figlia hanno raccontato come è avvenuto il rapimento e i giorni della segregazione.
Laetitia il 9 agosto si trovava davanti al complesso sportivo, quando uno sconosciuto le ha chiesto un' informazione. Lei ha risposto, ma un altro uomo l' ha presa per la gola e, impedendole di gridare, l' ha spinta dentro un furgone bianco.
Le hanno quindi somministrato delle gocce e delle pillole, che la ragazza è riuscita a sputare, infine è stata costretta ad ingoiare sette pillole con altre gocce, che l' hanno addormentata. Quando si è svegliata era nella cella dove è stata trovata dalla polizia.
Laetitia racconta di aver dormito per tutti i primi tre giorni. Sabine era in quel posto da qualche mese e stava male, era al limite delle forze, aveva paura di non farcela a rivedere la sua famiglia.
Dutroux aveva chiesto a Laetitia, visto che i suoi genitori non volevano pagare il suo riscatto, se preferiva essere uccisa o restare lì come Sabine. Laetitia aveva risposto di stare con Sabine.
Le due ragazze vengono liberate dalla polizia il 15 agosto solo dopo l' arresto di Marc Dutroux (avvenuto il giorno 13) e grazie alla rivelazione del luogo dove erano detenute.

Messaggio modificato da Khouba il 16 marzo 2015 - 23:02

"A volte la mia vita somiglia al numero pericoloso di un equilibrista: quello che provo è l'opposto di quello che vorrei fare. Reazioni impulsive portano a decisioni sbagliate. Sono un passo avanti rispetto al mio cervello.
Quando rivedo la mia giornata mi rendo conto che passo gran parte del tempo a sistemare il danno del giorno prima.
In questa vita non ho futuro, solo confusione mentale, e rimorso. …
Ogni giorno è come una nuova bara: la apri e guardi cosa c'è dentro, poi stabilisci se si tratta di un dono, o di una bara."


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Inviato il 18 marzo 2015 - 12:03

cristo santo, a sta gente auguro le morti più atroci
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